"Erasi adunque a Marzo ..." : 1817 - 2020 a confronto.
di M. S. e F. M.
Dopo un anno da Coronavirus possiamo affermare con certezza che tutti gli studiosi hanno riportato in auge ogni tipo di pandemia: peste, colera, spagnola, etc. Tutte epidemie lontane nel tempo, che nel pensare comune non hanno toccato la zona del Vastese, affermazione alquanto inesatta, basti pensare al 1817, anno in cui ci fu la febbre petecchiale che si diffuse per tutta la Penisola italiana: dal Regno di Napoli fino al Regno Lombardo – Veneto.
La popolazione del luogo, già colpita dalla frana del 1816 e dagli eventi atmosferici insoliti, non fu risparmiata dal nuovo morbo che causò 2138 decessi su 8746 cittadini (censiti al 31 dicembre 1816).
Il primo caso, altresì detto paziente zero ci fu nel marzo 1817, come si deduce dalle cronache raccontate dallo storico Luigi Marchesani: «Erasi adunque a Marzo e si moriva più del consueto; ma il numero delle agonie annunziate da' sacri bronzi non ancora la universale attenzione feriva, […] il giovane ferraro Francesco di Altea, seco portando il seme di quel morbo, che a lui prima è poi al suo Medico dovea cagionar la morte».1
Oggi come allora, le precauzioni adottate furono:
- immediato isolamento dei contagiati sanificazione degli ambienti, laddove era possibile risalire al domicilio del malato;
- tempestiva sepoltura dei cadaveri;
- controllo degli accessi in città.
Il Marchesani descrisse minuziosamente il «fumigate» di cloro che impregnava i muri delle prigioni: un potente gas disinfettante utilizzato per sanificare gli ambienti. Inutile sottolineare che, nell'Ottocento il concetto igienico-sanitario era estremamente precario, all'epoca si sommavano indigenza ed ignoranza, fatti che sembrano ripetersi con parecchi elementi di affinità attuale.
In quei mesi, l'unico incessante suono diffuso nell'aria era il rintocco delle campane, le quali abitualmente annunciavano la morte di qualcuno, ma in questa situazione di disperazione, si amplificava «un turbamento eccessivo nei malati e toglie il coraggio ai sani»2; contrariamente al lockdown della primavera 2020, il cui unico suono che infrangeva il silenzio perenne era il lamento delle sirene delle ambulanze e, in risposta beneaugurante, il canto speranzoso degli italiani uniti.
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(Foto di Costanzo D’Angelo) |
Non appare diverso lo scenario attuale, l'emblema di uno degli anni più bui della storia italiana del XXI è stata l'immagine dei carri militari a Bergamo che hanno trasportato le bare dei morti nei diversi forni crematori.
In un estratto della Storia di Vasto, Luigi Marchesani raccontò una scena a lui rimasta impressa: «in altra parte, quando è già notte, immobili li rende la vista di vedova donna, la quale prezzolar non potendo altre braccia, porta al comun deposito il cadavere dell’unica figlia or che la successiva morte di dieci Becchini rese malagevole alla Città l’assoldarne tosto degli altri».3
Quest’immagine spietata richiama alla memoria un capolavoro della letteratura italiana: il XXXIV capitolo de I Promessi sposi in cui la madre della piccola Cecilia è protagonista di uno dei momenti più commoventi dell’intero romanzo. Renzo, da poco entrato in città, è giunto al «carrobio» di Porta Nuova, quando vede una giovane donna uscire dall'uscio di una casa e dirigersi verso il carro dei monatti, portando in braccio il cadavere di una bambina: «Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, "no!" disse: "non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete!».4
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(Un'immagine della peste ne: I Promessi Sposi) |
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1 L. Marchesani, «Storia di Vasto, città in Abruzzo Citeriore», Napoli de’ torchi dell’osservatore medico, 1838, p. 292.
2 L. Marchesani, «Storia di Vasto, città in Abruzzo Citeriore, con guida alla lettura della Storia di Vasto di Luigi Marchesani», a cura di Puccio Benedetti, Gabriella Izzi Benedetti, Vasto, Il Nuovo, 2003, p. 324.
3 L. Marchesani, «Storia di Vasto, città in Abruzzo Citeriore, con guida alla lettura della Storia di Vasto di Luigi Marchesani», a cura di Puccio Benedetti, Gabriella Izzi Benedetti, Il Nuovo, Vasto, 2003, p. 329.
4 A. Manzoni, «I Promessi Sposi», a cura di Gilda Sbrilli, Studi Manzoniani L.A.C., Firenze, p.797.
5 Salmo 22, di Davide.
La pandemia del 1817 e' da ricollegare ad un immane catastrofe, dovuta alla più violenta eruzione vulcanica conosciuta. Ci fu l'immissione nell' aria di quantità inimmaginabili di polveri e ceneri vulcaniche, causate anche dalla disintegrazione di parte del cono vulcanico. Ci fu una diminuzione della temperatura su tutta la terra. Quell'anno fu chiamato l'anno senza estate. La carestia conseguente dovuta alla mancata crescita e maturazione delle messi provocò un deperimento organico e diminuita resistenza alle epidemie
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