TRA
STORIA SOCIALE E STORIA DEL TERRITORIO
di
Luigi Murolo
(Nei link in fondo pagina si può accedere agli elenchi nominativi dei deceduti)
1. Se è vero
l’assunto di Marc Bloch secondo cui la storiografia analizza «il passato in funzione del presente e il presente in funzione del passato», mai come in
questo momento diventa importante riflettere su quella lontana vicenda
temporale – 1817 – che, nell’interrompere le regole sociali codificate dalla traditio
comunitaria, tentava di arginare gli effetti insostenibili del contagio
epidemico da tifo esantematico (tra l’altro, è sorprendente notare come le grandi
epidemie che hanno investito la città registrino una sequenza secolare: tifo,
1817; spagnola, 1918/20; Covid-19, 2020). Ma tornando indietro, agli inizi del
sec. XIX, ci accorgiamo che il contagio era batterico, non virale. Combattuto,
tra l’altro, su un versante biopolitico particolare: la gestione delle
sepolture. Non concernente l’isolamento o l’uso di farmaci (magari, in qualche
sporadico caso, con l’uso di qualche pratica salassoterapica effettuata da
flebotomi, allora considerata l’unico rimedio per tutte le patologie infettive!
Ma con l’aggiunta – come ricordava lo storico Luigi Marchesani – che di quel
Gerolamo Fracastoro che, nel 1546, aveva pubblicato il celeberrimo De
contagione et contagiosis morbis – uno dei testi più importanti di tutta la
storia della medicina – pareva che tra i medici della città si fosse dimenticata
perfino la traccia). In effetti, nel Vasto del 1817, l’immunizzazione dei
viventi si giocava esclusivamente sull’esclusione dei deceduti dalla città. Il
vecchio e malandato ospedale, attestato presso il baluardo urbico di S.
Antonio, assolveva alla sola funzione di ricovero per indigenti non certo a
quella di presidio medico. Del resto, ciò che era la concezione dell’ospedalità
in periodo d’ancien régime. A tal proposito, vale la pena ricordare la
delibera decurionale del 6 luglio 1817 che riporta il rapporto dell’Intendente
della Provincia del 31 maggio in cui si legge che, nel segmento amministrativo
della carità, l’Intendente, nella sua funzione di Presidente del Consiglio generale degli Ospizi, «prendendo in considerazione il bisogno di tanti poveri,
c’informa di proporre i mezzi opportuni onde poter stabilire in questo comune
un ospedale suscettibile di circa dieci individui, e colla maggiore sollecitudine».
Vale a dire, un ospedale per circa dieci indigenti nel ciclo ascendente
dell’epidemia.
Stando
così le cose, la comunità, per difendersi dal contagio, affidava la propria
sopravvivenza al bando dei morti dallo spazio della quotidianità; al loro
scarto dal luogo della vita. Una discontinuità inimmaginabile nell’outillage
mentale del tempo – un vero e proprio vulnus antropologico – ove si
consideri che l’affidamento del corpo dei defunti nei colombari degli ipogei era
riservato alla cura della chiesa.
La
definizione di «provvisorio» rendeva probabilmente accettabile nell’universo
culturale della popolazione la dislocazione del camposanto in un’area
lontanissima dalla città. Di certo, però, la caratteristica di «provvisorietà» può
essere attribuibile a un ospedale, dove il ricovero è sempre temporaneo. Al
contrario, come è possibile riconoscere lo stesso requisito a un luogo che, per
esistere, presuppone solo il definitivo? «Camposanto provvisorio» sembrerebbe
di per sé un ossimoro. Ma di là dalla figurazione retorica, la comunicazione
rispondeva a una sola esigenza: sottolineare che, con la sospensione del codice
non scritto del rito di passaggio, il poi(il tempo successivo ai
seppellimenti extra muros) sarebbe ritornato come il prima: con le
sepolture protette dall’involucro ecclesiastico. Che l’immunizzazione
riguardava il solo presente.Un’immunizzazione dal nefas della morte abbandonata:
una morte considerata infetta, clandestina. Impura perché destrutturante della traditio: fuori
dai confini sacrati della chiesa funerante. In tal senso, una hýbrisda
esorcizzare. Con un convincimento: che la dichiarazione di «provvisorietà» altro
non costituiva che un auspicio per il ritorno all’ordine.
Ma, nei
fatti, che cosa era accaduto?
2. Agosto 1817, il
giorno 3. Una domenica diversa dalle altre per la città, ma probabilmente non
percepita dai suoi abitanti per problemi molto gravi, incombenti da ben cinque
mesi. La sanità pubblica è stremata. Decessi su decessi occupano tutte le
nicchie disponibili degli immensi ipogei ecclesiastici urbani destinati a
ospitare i corpi dei defunti (669 dal mercoledì 5 marzo, data della prima
diagnosi ufficiale, al sabato 2 agosto giorno precedente il consiglio
decurionale). L’aria insalubre rende ancora più greve la sopportazione dei
miasmi che si sprigionano dai sotterranei delle chiese. Convocata l’assemblea
dal sindaco Domenico Laccetti, a quella data il Decurionato di Vasto deve
assumere misure urgenti e straordinarie per affrontare e arginare in qualche
modo il dramma delle centinaia e centinaia di luttuosi eventi cagionati dall’allora
corrente epidemia di tifo esantematico (o petecchiale, che dir si voglia).
Stando
alla delibera conservata nell’Archivio Storico Comunale, i provvedimenti
adottati dall’Amministrazione (che qui sintetizzo) risultano essere i seguenti:
1. Realizzazione
di un «camposanto provvisorio» esteso un tomolo e mezzo, da allocare in
contrada Colle Martino, località abbastanza lontana dalla città, aperta ai
venti, servita da una strada rotabile adatta al transito di un carro funebre.
Il terreno in questione è proprietà di Giovanni Barbarotta.
2. Chiusura di tutte le vecchie sepolture e
divieto per le nuove all’interno del centro urbano. Soprattutto nelle chiese di
S. Francesco di Paola e di S. Domenico (oggi chiesa di S. Filomena)
sovrabbondanti di cadaveri. Murazione di ingressi e finestre per evitare
esalazioni di gas e prodotti solforati derivanti dalla putrefazione.
3. Conferimento al sindaco e agli
amministratori di tutti i poteri di polizia urbana.
- a. Per i due mesi previsti per il funzionamento del «provvisorio» la Comune (al femminile) stanzia la somma di 400 ducati;
- b. Per lo stesso periodo viene prevista la spesa di 144 ducati per il compenso a sei scavatori di fosse. Va precisato che si tratta di solchi singoli ognuno dei quali largo palmi due e profondo palmi sei (1 palmo napolitano = cm 26,4);
- c. A altri tre seppellitori viene erogata la somma di 72 ducati per la presenza fissa di uno dei tre nella chiesa di S. Sebastiano (oggi non più esistente, ma localizzata nell’attuale piazza Verdi nelle prossimità di via Madonna dell’Asilo), utilizzata come obitorio prima della traslazione definitiva del cadavere a Colle Martino;
- d. Per l’utilizzo di due muli per il trasporto della salma con il carro, 72 ducati;
- e. Per il conduttore, 24 ducati;
- f. Per l’alimentazione del mulo, 18 ducati;
- g. Per l’acquisto di un «carrettone» (compatibile con l’uso funebre) di proprietà di Antonio Tiberi valutato da Giovanni Monacelli 36 ducati;
- h. Per l’acquisto del terreno, 10 ducati;
- i. Per una base di fabbrica da destinare all’apposizione di una croce di legno al camposanto, 12ducati.
- l. Per la chiusura stagna di fosse, porte e finestre nelle chiese di S. Francesco di Paola e S. Domenico, 20 ducati. (doc.1: foto 1, 2, 3)
Documento 1
(Foto n. 1)
(Foto n. 2) (Foto n. 3)
La durata del «camposanto provvisorio si
computa in 105 giorni: dal 6 agosto al 19 novembre. La prima a essere sepolta è
la contadina Teresa Della Penna, vedova Pracilio, di 53 anni (foto 4);
(Foto 4)
(Foto 5)
In questo breve lasso di tempo – i tre mesi e
mezzo previsti dalla delibera – sono ben 1268 le vittime causate dai batteri
del tifo esantematico (così testimoniano i cinque registri dei decessi
conservati nell’Archivio storico comunale. Il primo caso diagnosticato – il
cosiddetto «paziente zero», per utilizzare il lessico corrente – è quello
relativo al ferraio trentaseienne Francesco d’Altea (foto. 6), proveniente dalle
carceri di Campobasso, morto il 5 marzo dello stesso anno.
(Foto 6)
Ma
torniamo a Colle Martino. C’è da credere che gli interramenti previsti in
questo sito dalla delibera del 3 agosto siano proseguiti ben oltre la data
fissata del 19 novembre. Una proroga sicuramente necessaria, data
l’impossibilità delle chiese di sopportare il numero esorbitante di cadaveri.
Cosa significativa, i cinque registri dei defunti – consultabili presso l’Archivio
Storico Comunale di Vasto –, anche sul piano della documentazione, danno la
dimensione della catastrofe demografica.
Nel
rispetto della prima legge post murattiana sui camposanti – emanata da
Ferdinando I delle due Sicilie l’11 marzo del 1817 – le tombe sono esterne alla
città, individuali e a inumazione (di qui la differenza con i cimiteri che, al
contrario, consentono sepolture a tumulazione in muratura o in marmo con
iscrizioni). Differiscono radicalmente dalla sepoltura nelle chiese che, per le
famiglie altolocate, prevedeva la cappella e la tumulazione e la salma raccolta
in un sudario appena deposto negli ambienti ipogei per favorire la
decomposizione. Si sta parlando di Colle Martino, come il più antico camposanto
– anche se «provvisorio» – del Regno delle Due Sicilie rispondente alla
medesima normativa prevista dall’editto napoleonico di Saint-Cloud (1804). Di
un camposanto che, realizzato per ragioni esclusivamente igienico-sanitarie,
apre di fatto al Moderno nella pratica dei rituali funerari.
Di
tutti questi aspetti, la sommità della falesia su cui, a nord, insistono i
resti della fortificazione medievale di Penna de Luco (Pennaluce) non dice
nulla (foto 7 e 8).
(Foto 7)
(Foto 8)
Ogni tanto torna alla luce qualche traccia ossea umana. Ma
senza le carte custodite nell’Archivio Storico Comunale di Vasto non avremmo
alcuna notizia su questo singolare insediamento del secondo decennio dell’Ottocento.
Certo, l’area di riserva di Punta d’Erce dovrebbe tutelare, insieme con i resti
archeologici di Pennaluce, l’universo ipogeo di Colle Martino. In realtà, la
costante minaccia di un’area industriale mai decollata rende precaria l’esistenza
di forme storico-antropologiche del passato (foto 9).
(Foto 9)
Centrale
in questo contesto è lo studio statistico sui deceduti tutto da compiere. Per
iniziare, pubblico l’elenco completo dei 2138 nominativi dal 5 marzo 1817 al 31
gennaio 1818. Per i defunti sono indicate data di morte e età.
Cliccando sui link in basso si accede agli elenchi nominativi dei deceduti.
VASTO: ELENCHI NOMINATIVI DEI
DECEDUTI NELL’EPIDEMIA DI TIFO ESANTEMATICO DEL 1817
Link di collegamento agli elenchi:
Link di collegamento agli elenchi:
ELENCO n. 1: https://istitutostoriadivasto.blogspot.com/2020/03/vasto-elenco-nominativo-dei-deceduti.html
ELENCO n. 3: https://istitutostoriadivasto.blogspot.com/2020/03/vasto-elenco-nominativo-dei-deceduti_56.html |