Dipartimento di Studi e Ricerche sulla Storia di Vasto

mercoledì 18 marzo 2020

L'Istituto per la storia di Vasto: qualche considerazione


di Luigi Murolo

Ma qual è l’orizzonte culturale dell’Istituto per la storia di Vasto? Scrivere forse una nuova storia della città? E in che modo? Con un unico soggetto che scriva su tutto da un punto 0 ad oggi? O con un lavoro a più mani che, comunque indirizzato sul versante dell’auctor unico, continua a rimanere nel campo della narrazione lineare? Con un tempo assoluto che, nell’omologare accadimenti diversi, si trova a declinare il proprio racconto in una prospettiva unitariamente cronologica? Come a dire che il tempo dell’universitas civium costituisca il semplice prius della comune napoleonica e non una rottura radicale dei rapporti sociali e fondiari, con la modificazione dello stesso outillage mentale della classe dirigente che passa dalla battaglia antifeudale alla strenua difesa ideologica dell’origine feudale delle terre redditizie. Dimenticando che il mutamento di paradigma giuridico operato dai francesi sulla natura del feudo – divenuto non più tema fondante del diritto pubblico meridionale ma un semplice istituto contrattualistico di diritto privato – determina una frattura insanabile nella storia del Mezzogiorno italiano, aprendo di fatto all’accaparramento selvaggio di tutte quelle terre pubbliche all’improvviso privatizzate, diventando nei fatti il vero passepartout per la genesi latifondistica della nascente borghesia.

Come si può notare, una profonda discontinuità storica che richiede una profonda discontinuità di analisi tra i due periodi

E non si tratta di solo questo. Tanto per fare un altro esempio, che cosa dire dell’organizzazione della chiesa cittadina? Perché, si può forse parlare di continuità tra il paradigma locale della struttura capitolare in periodo di ancien régime con l’istituzione della diocesi di Vasto nel 1853? Intanto un passo indietro. La sussistenza di due capitoli in una stessa città presuppone giocoforza la presenza di due organismi canonici con analoghe autorità vescovili. Cosa difficile da pensare perfino alla più fervida immaginazione. Ma proprio così. Incredibile dictu: due presuli per una stessa città! L’uno di Chieti, a cui risponde il capitolo di S. Maria; l’altro di S. Giovanni in Venere, con il proprio abate commendatario vescovo cui fa capo il capitolo di S. Pietro. Con un’ulteriore particolarità. Sono entrambe chiese di iuspatronato regio. Vale a dire chiese demaniali del Re, sottratte alla gestione patrimoniale da parte del vescovo. Ma, soprattutto, sono libere di eleggere l’Arciprete (S. Maria) e il Prevosto (S. Pietro) con tutte gli altri uffici. Godono dello ius praesentandi. Vale a dire, hanno solo l’obbligo di comunicare al presule il nominativo della massima autorità capitolare. De facto, al vescovo compete l’amministrazione spirituale. Tale condizione termina nel 1808, allorché il re (Giuseppe Bonaparte), titolare di entrambi i giuspatronati, decide di ridurli a uno, trasferendo l’ecclesia in un sito terzo: l’ex-chiesa conventuale di S. Agostino (divenuta S. Giuseppe, in onore del sovrano), cui risponde un unico capitolo che mantiene inalterata la stessa natura iuspatronicia. In questo caso, ci si trova di fronte a una semplice razionalizzazione, non certo a un mutamento formale che si registra solo nel 1853. L’istituzione di una diocesi senza ordinario sembrerebbe il vero nodo del problema. Ma solo in apparenza. In effetti, la salvaguardia del giuspatronato regio esclude la presenza di un vescovo titolare che ha potere pieno sulla territorialità: sia spirituale, sia patrimoniale. La reggenza (e non la titolarità) dell’ufficio diocesano, consente il mantenimento dell’autonomia del capitolo cittadino, ma non sul resto del vescovado. Un’alleanza altare-corona, insomma, che, nel favorire la curia vastese (con il rafforzamento ideologico del clero sulla popolazione della città: fondamentale, in questo senso, l’attività del tutto ignorata del canonico cantore Giacomo Tommasi), produce un duplice effetto: per un verso, pone al centro la forte attività di contrasto alle istanze liberali cittadine chiaramente espresse nel 1848-1849; per l’altro, l’ostilità della curia teatina che si sente colpita dal provvedimento pontificio.

A questo punto, la domanda che sembra emergere è la seguente: dove corre il filo della discontinuità? Non certo nel rapporto ecclesiastico con la sede della nuova diocesi, ma nel doppio registro amministrativo costruito nel distretto diocesano: da un lato, il primato della chiesa della città; dall’altro (in periferia), il regolare funzionamento della subordinazione al vescovo che, anche sub specie procuratoris, continua a permanere.

Qui alcune rapide considerazioni sulle forme amministrative locali in età moderna. Di seguito, un velocissimo cenno alle discontinuità territoriali (o, se si vuole, forme dello spazio) che hanno caratterizzato la città tra antichità e medioevo. Ad, esempio gli Statuti comunali cinquecenteschi della Terra del Vasto – segnatamente il § III, 25 – registrano un confine territoriale della città radicalmente diverso dall’attuale (molto più esteso del precedente, quasi più del doppio). Stando così le cose, come possiamo collocare sulla stessa scena avvenimenti occorsi in un contesto geopolitico in se stesso così inconciliabilmente diverso (ben undici insediamenti tra feudali e demaniali storicamente attestati nell’attuale territorio di Vasto)? E che cosa dire, inoltre, dell’incolmabile distanza di organizzazione territoriale che intercorsa tra comune, universitas e municipium romano? Quest’ultimo è strutturato amministrativamente per tribus (quella degli histonienses è la tribus Arnensis) si colloca geopoliticamente in un’area compresa dal punto di vista cardinale (nord-sud) tra Sangro e Trigno e da quello decumano (est-ovest) tra il mare e località S. Ianni di Palmoli (fino a oggi il punto estremo occidentale epigraficamente documentato [CIL IX, 2858]). Il che vuol dire: se si studia il municipium degli histonienses non si può parlare arbitrariamente del solo centro storico di Vasto, ma dell’area in precedenza definita di cui il suo territorio ne costituiva il centro amministrativo, lo stesso in cui si collocava l’esercizio della magistratura giurisdizionale del quattuorviratus iure dicundo [CIL IX, 2855].

E volendo parlare della touta italica? Qui cambia ancora una volta tutto. La testimonianza epigrafica osca proveniente da Punta Penna (conservata nel museo di Vasto) con l’attestazione di due censori riconosce in questa località la sede amministrativa degli histonienses in periodo frentano. Ma è soprattutto il recentissimo recupero da parte della Guardia di Finanza di un reperto trafugato (con iscrizione osca) databile al III-II sec. a.C. che riconferma la natura politico-amministrativa di quella località. Lo studio ad hoc di Adriano La Regina (in «Studi Etruschi», LXXIV-MMVIII, SERIE III, [2011], p. 431) registra – sempre nello stesso sito – la presenza di un «tribuno della plebe» (tribúf .plífríks). Ecco allora il punto. Tra censori e tribuni della plebe epigraficamente attestati emerge un altro centro territoriale, dislocato nell’attuale sito di Punta Penna, che precede la deductio romana (posteriore alla Guerra sociale) verso l’attuale centro storico di Vasto.

Non vado oltre. Mi limito a segnalare solo alcune discontinuità che caratterizzano la storia di Vasto. Insisto su questo aspetto perché ritengo che sia l’individuazione di tali interruzioni a delineare i singoli paradigmi entro cui sviluppare le specifiche narrazioni. Sono queste unità di rete che aprono alla possibilità di interconnessioni storico-culturali altrimenti non riconoscibili. Non vi sono condizioni per un unico soggetto di lavorare intorno a questa opera (salvo chi ha la pretesa di raccontare singolarmente e cronologicamente da un punto zero all’infinito l’incontro tra storia politica, economica, ecclesiastica, giuridica, linguistica, antropologia culturale, letteratura, arti, archeologia ecc.). Di qui l’esigenza di un Istituto di studi ad hoc per sviluppare una simile linea di ricerca. Ma, nello stesso tempo, una piccola istituzione ancora agli inizi (fondata esclusivamente sul volontariato) che, con una didattica centrata su conversazioni aperte – e con mostre documentarie su argomenti specifici –, vuole avvicinare l’opinione pubblica a un progetto di conoscenza del territorio.

D’altro non so dire. Se non aggiungere una modestissima chiosa: continuare e migliorare la linea già intrapresa.

Nessun commento:

Posta un commento