Dipartimento di Studi e Ricerche sulla Storia di Vasto

domenica 12 aprile 2020

Gustav Mahler e gli echi di Màre Màjjǝ: variazioni sul tema


Gustav Mahler e gli echi di Màre Màjjǝ: variazioni sul tema   


di Luigi Murolo

                                                                            
 Mare Majje - Coro Polifonico Histonium - Vasto

                    ("Mare maje" - Lamento di una vedova - Coro Polifonico Histonium) - 



voce solista Valeria De Fanis


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G. Mahler

(Sinfonia n. 1 "Titano": Terzo movimento - Solenne e misurato, senza trascinare)

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Sarebbe bello ascoltare oggi dal vivo la Sinfonia n. 1 in Re maggioreTitano») di Gustav Mahler, il grande compositore austriaco (1850-1911), ponendo soprattutto attenzione a quel terzo movimento – «solenne e misurato, senza trascinare» – in cui l’autore rielabora, tra l’altro, una melodia non solo nota nell’Impero asburgico, ma nello stesso Abruzzo. Sarebbe bello – aggiungo – perché ci renderemmo conto di quanto, nella Vienna fin de siècle, sopravvivessero ancora remote tracce musicali di cultura balcanica popolare radicatasi, già nel XVI secolo, sul versante occidentale dell’Adriatico. In effetti, la pagina mahleriana restituisce gli echi lontanissimi di una melodia molto viva in ambiente vastese. Concepita “a programma” (vale a dire, su riferimenti extramusicali), la sinfonia reinterpreta parodisticamente una marcia funebre che ha il suo modello in una grafica di Moritz von Schwind (1804-1871) illustrativa di una fiaba per bambini centrata sul corteo funebre degli animali nei confronti del cacciatore (di fatto, un rovesciamento dei valori antropologici: non il carnefice che accompagna il feretro delle vittime, ma il contrario). Parlo della celebre incisione su legno Wie die Thiere den Jäger begraben («Come gli animali seppelliscono il cacciatore») [fig. 1]. 

 Come gli animali seppelliscono il cacciatore

(Fig. 1: M. von Schwind, «Come gli animali seppelliscono il cacciatore» - 1850)

Qui, nel recupero di antichi temi popolari, per la prima volta, Mahler teorizza il concetto di Naturlaut (suono della natura) dove natura coincide con la totalità di suoni provenienti dal mondo e dalla vita: versi di uccelli, marce, segnali militari, frammenti di canzoni ecc. Non così come si originano, ma come sono ricostruiti attraverso quel processo di ricreazione e di riappropriazione tipico dell’arte. In questo riuso della citazione (non dissimile dalla successiva poetica dell’invenzione dannunziana) Mahler assembla tutto quanto è necessario alla produzione estetica delle sue singole opere: anche una vecchia melodia ritenuta tra l’altro ebraica – ed è quella che ci interessa – rientra in questa singolare fucina dell’artiere.
Derivazione ebraica, si diceva. In realtà, gli studi di Ernesto De Martino (Morte e pianto rituale nel mondo antico [1958]) riconducono quelle sonorità a un archetipo balto-slavo (connesso tanto alle comunità balcaniche dell’impero asburgico quanto a quelle più antiche croate soggette alle transizioni adriatiche dei secc. XV e XVI). Ma, a conti fatti, nell’un caso o nell’altro, rimane un solo dato: l’ascolto degli echi di Màre májjǝ, il celebre lamento vastese di una vedova, che provengono dal terzo movimento della citata prima sinfonia mahleriana. Per una singolare coincidenza cronologica va segnalata, nello stesso anno della morte di Mahler – 1911 –, la pubblicazione da parte dell’Accademia delle Scienze di Vienna dell’opera di Milan Rešetar dal titolo Die Serbokroatischen Kolonien in Süditaliens (Le colonie serbocroate nell’Italia Meridionale) relativa alle sopravvivenze culturali metanastasiche della migrazione croata lungo la Valle del Trigno.
In ogni caso va ricordato che la notizia iniziale sulla testualità di questo canto non concerne Vasto e il suo territorio di riferimento, ma Scanno e l’area della valle del Sagittario. In effetti, il primo a parlarne è Vincenzo Simoncelli (1850-1917) che, nel fascicolo inaugurale del «Giambattista Basile. Archivio di letteratura popolare e dialettale» (1883), rivista diretta da Luigi Molinaro del Chiaro, alle pp. 54-55, pubblica un testo di nove strofe – Il pianto della vedova – raccolto dalla voce di Giovanni Graziani di Villetta Barrea (versione che riporto in appendice). Sempre sulla stessa testata, nel n. 10, Antonio De Nino, intervenendo sullo stesso argomento, precisa che il componimento si sviluppa in 17 strofe e che per la prima volta attribuisce all’arciprete Sebastiano Mascetta di Colledimacine scritte intorno al 1830. Dal canto suo, Gennaro Finamore, nel 1905, sulle pagine della «Rivista Abruzzese» pubblica un testo di nove strofe analogo a quello di Scanno, attribuito sempre a Mascetta. E che differisce per una strofa in meno rispetto alle dieci vastesi contenute nello scartafaccio di una conferenza manoscritta di Luigi Anelli (Come canta il popolo vastese) conservata nell’Archivio Storico Comunale di Vasto. Questa, in breve, la traditio della scrittura che, data la diversità «codicologica» esistente tra la versione di De Nino e quella di Finamore, rinvia a un archetipo ancora da individuare da cui sembra dipendere la stessa lectio letteraria del Mascetta. 
Al contrario, per quanto è dato di sapere, la prima trascrizione musicale (con un testo molto ridotto) del canto popolare in questione data 1927 e è dovuta a Ettore Montanaro. C’è da aggiungere, inoltre, che è solo grazie a questo lavoro (definito dall’autore secundo «alla maniera di Vasto») che la melodia comincia a circolare negli ambienti specialistici. Tal che, volendo ricondurre il tutto a un raffronto con la struttura musicale mahleriana, si può dire che, dal punto di vista narrativo, il testo vastese non ha nulla di parodistico. Anzi, è un pezzo chiave sulla condizione della donna nell’Ottocento e denunzia le vessazioni che essa è costretta a subire nel momento della vedovanza. Un pathos tragico, insomma, dolente, che nulla ha da dividere con l’universo a rovescio tracciato da Mahler. Al contrario, sul piano dell’archeologia musicale abruzzese, gli stessi successivi interventi musicologici (con la definitiva formalizzazione operata da Antonio Zaccardi) non si sarebbero discostati dalla pionieristica trascrizione di Montanaro.
Ora qui si esclude volutamente la discussione filologica sulle varianti letterarie abruzzesi di Màre majjǝ. Molto più semplicemente, ciò che interessa sottolineare in questa sede è il modo in cui le sonorità parodistiche del funerale mahleriano si trovano a interpretare, del tutto inconsapevolmente, il dramma antropologico-sociale della morte del marito in un ambiente popolare. Ci si trova di fronte a una struttura musicale aperta, il cui canone riesce a giocare in contesti diversi, e capace di profilare una duttile sovrapposizione tra culto e inculto. C’è da dire, però, che la tradizione popolare mitteleuropea restituita dal grande compositore austriaco torna per intero in un musical del 1964 di Jerry Bock (musica) e Sheldon Harnick (libretto) – Fiddler on the Roof  (Il violinista sul tetto), basato sulle storie di Sholom Aleichen – che a Broadway ha tenuto banco con 3242 repliche per un decennio, le più longeve di tutta la storia del musical [fig. 2].

(Fig. 2: la locandina del music-hall "Fiddler on the Roof" - copertina di LP)

Qui gli echi di Màre májje in chiave ebraica (molto aderenti alla versione melodica vastese) hanno riscosso un successo straordinario, soprattutto grazie al touch inconfondibile di Zero Mostel. Dove, per inciso, vale la pena ricordare come il tema del violinista sul tetto risulti essere una costante della pittura di Marc Chagall volta a dimostrare (almeno è ciò che pare) l’importanza dei violinisti klezmer nella cultura ebraica. Lo stesso film di Norman Jewison girato nel 1971 ha reso analogo servizio alla diffusione planetaria della melodia di Màre májjǝ (insinuata mirabilmente in sottovoce nel brano dal titolo If I were a rich man) [fig. 3].

(Fig. 3: la locandina del film "Fiddler on the roof" - 1971)

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A conferma di ciò, vien dato di pensare (ma è solo una personale suggestione) che sia stato proprio questo film a suggerire l’inserimento della variante vastese del Lamento di una vedova in quella pellicola prodotta nel 1973 dal titolo chilometrico e diretta da Lina Wertmüller che recita Film d’amore e d’anarchia ovvero stamattina alle 10 in via dei fiori nella nota casa di tolleranza [fig. 4].

(Fig. 4: la locandina del film)

(Link collegamento Youtube)

Che dire di più. La pagina mahleriana offre la possibilità di rileggere in un modo diverso l’antropologia della cultura popolare vastese e del territorio di cui è polo di riferimento. Consente altresì la possibilità di slargare, con fondamenti reali, la tradizione cittadina al contesto della grande musica sinfonica. Non solo un auspicio. Ma, soprattutto, un aspetto su cui riflettere intensamente.

  
Il pianto della vedova

Testo raccolto da Vincenzo Simoncelli (1883) sulla base dell’informatore Giovanni Graziani da Villetta Barrea

 1.
 Scura maja, scura maja!
 Te si’ muort’ chigna facce?
 Mo me stracce trecce e facce,
 Mo me jatte ’ngoj’ a taja:
 Scura maja, scura maja!

 2.
 Primma tenea ’na casarella,
 Mo ’ntieng’ chiù reciette.
 Senza fuoche e senza liette,
 Senza pane e cumpanaja:
 Scura maja, scura maja!

 3.
 M’ha lasciata ’na famija
 Scàuza e nuda, appetitosa;
 E la notte ci sgeveja
 Vûne ju pane e i’ ne’ l’aja:
 Scura maja, scura maja!

 4.
 Ieri jeje a ju cumpare,
 A cerché la carité,
 Me feceje’ ‘na strellota
 Me menaje ’na staja:
 Scura maja, scura maja!

 5.
 Sci’ mmajtt’, sci’ mmajtt’,
 Quanno bene ch’ ’nt’ aje fatte!
 Pe’ lu scianghe de la jatta
 Pròpia straja m’aj’ a faja
 Scura maja, scura maja!

 6.
 E la notte a l’impruvisa,
 Quann’ durme, a l’ensaputa,
 Aja ’ntrà’ pe’ la caùta,
 Tutt’ le scianghe me t’aja vaja:
 Scura maja, scura maja!

 7.
 Stava grassa chinta a ’n’orsa,
 Me so’ fatta scecca scecca
’Nc’ è nu cone che me lecca,
 Chi me scaccia e chi m’abbaja:
 Scura maja, scura maja!

 8.
 A ju ciel’ che ’nci aje fatt’?
 A ju munne puverella,
 So’ remasta vudovella,
 Mo m’arraja, mo m’arraja:
 Scura maja, scura maja!

 9.
 Oh! ju ciele, famm’ascì,
 Pe’ marite nu struppone
 Ca se n’aje ju muntone,
 La cacciuna sempre abbaja:

 Scura maja, scura maja!.”.

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